Mostarda
“Mmm..che odorino! ‘nitta stai preparando la mostarda vero?”e subito lasciavo i giochi per vedere mia nonna “arriminari” col cucchiao di legno il mosto, mentre in attesa di assaggiarla “caura caura” mi accingevo a tritare le mandorle e il cioccolato fondente da cospargere sopra!
Quando la nonna Lucia nel mese di ottobre preparava la mostarda di uva era una vera cerimonia! In fila in attesa di essere riempite c’erano i “furmi” (formine che venivano riempite per dare alla mostarda la forma desiderata). A me personalmente piaceva calda, anzi bollente! E aspettavo che diventasse densa per poterla assaggiare! Con qualla cannella e le mandorle poi era una delizia al palato!
Settembre è tempo di vendemmia e di mosto e ottobre di preparazione della mostarda di uva! Ecco quindi la ricetta della mostarda siciliana, uguale a quella che preparava ogni anno mia nonna. In realtà vi parlo di una ricetta di famiglia, e sicuramente ci saranno tante varianti, anche se onestamente una mostarda di uva rossa buona come quella della nonna non l’ho mai assaggiata.
LA RICETTA mostarda siciliana
INGREDIENTI
L’ingrediente di partenza è il mosto, a cui si mescola un po’ di cenere bianca di legno d’ulivo, di vite o di mandorlo per contrastare l’acidità e mantenerlo dolce.
Il succo così mescolato si lascia riposare per 24 ore, dopodiché va filtrato alcune volte su panni di lino o canovacci di cotone, per garantire il completo allontanamento delle particelle di cenere. (A questo punto potete congelarlo e sciorglierlo quando decidete di preparare la mostarda).
LE DOSI: Per ogni litro di succo d’uva si aggiungono 90-100 grammi di farina. Alcuni usano l’amido.
PREPARAZIONE: Questa miscela di ingredienti si mette in pentola, quindi su un fornello a fuoco lento mescolando spesso perché raggiunga lentamente il punto di ebollizione, Mescolate il mosto con la farina a fuoco lento, fino ad addensarsi
All’ebollizione si aggiunge in pentola una manciata di mandorle tostate tritate grossolanamente. Quando il liquido si addensa a sufficienza è pronto per essere versato negli stampi o anche semplicemente in piattini per raffreddarsi (ma è buona anche tiepida!).
La mostarda di uva così ottenuta, mustata ri vinu cottu,, può essere consumata in giornata, oppure, se volete conservarla più a lungo, potete adottare lo stesso procedimento che si usa per conservare a lungo la cotognata: farla asciugare al sole e quando raggiunge il giusto grado di densità conservarla all’interno di bocce di vetro.
Questa è la ricetta della nonna Lucia, ma so che esistono diverse altre versioni che prevedono l’aggiunta di altri ingredienti come chiodi di garofano, cannella, persino zucchero. Secondo me in questo modo perde un po’ la sua autenticità, ma se vi va di condividere le vostre ricette scrivetemi!
LA TRADIZIONE
Sembra che la mostarda di uva fosse già conosciuta nel Medioevo in alcuni paesi del nord Europa, mentre in Italia, soprattutto al nord, era preparata già nel 1400.
La parola “mostarda di uva” deriva dal latino “mustum ardens”, alludendo al mosto di vino reso ardente, nel senso di piccante, dall’aggiunta di farina di grani di senape. In questo modo un tempo era possibile conservare un prodotto facilmente deperibile come la frutta. Da qui, in francese è diventata moût ardent (letteralmente: “mosto che arde”) e infine mostarda. Si tratta di un dolce appartenente a quella cucina “povera” che non butta nulla e, soprattutto, riesce a trasformare gli ingredienti più semplici in qualcosa di prelibato. Il mosto d’uva si ricava dall’uva fresca o ammostata (uva fresca pigiata, solitamente anche diraspata), mediante pigiatura o torchiatura. Si tratta di un prodotto molto gustoso, che ha anche alcune proprietà benefiche. È un succo che non è ancora stato sottoposto a processo di fermentazione: soltanto dopo questo passaggio si può ricavare il vino. La gradazione alcolica, dunque, è davvero ridotta. Il colore è scuro, molto gradevole, e cambia in base alla varietà d’uva dalla quale si ottiene.
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